Troppi turisti? L’overtourism come problema di concentrazione

L’estate 2023 è tra le altre cose, molte delle quali critiche, segnata dall’irruzione nel dibattito e nella materialità quotidiana dell’overtourism, che l’Organizzazione Mondiale del turismo definisce come “l’impatto del turismo su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori”.

Roma, dove ho passato la gran parte sinora dell’estate, restituisce plasticamente questo senso di qualità della vita alterata dai flussi turistici: i turisti sono ovunque, in multipli, e la città, o meglio le parti a rilevanza turistica come il centro, è orientata primariamente all’offerta di servizi al loro indirizzo. Le tourist trap, ristoranti, negozietti di chincaglieria, ma anche alberghi di lusso hanno invaso e snaturato l’Urbe, che è pur sempre la Capitale d’Italia oltre che una delle mete turistiche urbane più gettonate del mondo. Lo stesso accade a Venezia e Firenze e comincia ad accedere a Milano. Il turismo di massa ha invaso città che con la parziale eccezione di Venezia erano pienamente attive e vissute di abitanti veri per farne mete turistiche di massa, con tutto il portato di distruzione di equilibri e doping della rendita. Dove passa l’overtourism infatti non cresce più l’erba di un’economia urbana sana: è troppo più semplice e lucroso mettere a reddito una casa (magari ereditata) con gli affitti brevi, aprire un locale per turisti, trasformare il chiosco di frutta e verdura nell’ennesima rivendita di paccottiglia. Tanto i turisti arrivano più o meno da soli, passano, consumano. L’impatto della tirannia delle microdecisioni basate su una rendita senza sforzi, un reddito di cittadinanza sommamente iniquo, perché tutto basato sulla fortuna di ereditare nel posto giusto o investire senza rischi, è però collettivamente devastante. Come si è scoperto durante la pandemia, con i centri storici nudi senza turisti, dove è tutto a misura di turista di massa (o di lusso) non resta più spazio per la vita vera. Perché le aspettative di ritorno economico fanno schizzare in alto i prezzi e perché dopo poco iniziano a scarseggiare i servizi, espellendo famiglie e lavoratori.

La fisiologia dei centri urbani, la mixitè funzionale e culturale, l’apporto necessario che categorie diverse, come i creativi di Richard Florida, forniscono alle comunità dove convivono ricchi, meno ricchi, giovani, anziani, negozi scintillanti a fianco a un ferramento, tutto si annulla o si plastifica, alterandosi senza rimedio. Perché l’overtourism è autofago, sfrutta quello che si è costruito nei secoli, monumenti, cultura, tipicità, tradizioni, finché non diventa solo messinscena, inservibile se non come scenografia. Vale per Roma, ma anche, e di più, per le migliaia di borghi ex agricoli, si pensi alla viticoltura eroica delle Cinque Terre, costruiti attorno a un modello economico prima, sociale e culturale poi, agricolo e artigianale, la cui mercificazione ne comporta l’inevitabile tradimento. Dove i casali agricoli diventano senza eccezione ville o residenze turistiche si altera prima l’economia e il paesaggio, poi il resto seguirà. Il mercato turistico poi, come tutti i mercati globali a base esperienziale, non è come ingenuamente ritenuto da molti un mercato privo di oscillazioni, come stanno sperimentando in Puglia, risvegliatasi amaramente da una crescita apparentemente senza limiti e ritrovatasi a luglio con un meno 40% delle presenze, non da ultimo per aver tirato troppo la corda in termini di prezzi (alti) e qualità (in calo).

Con colpevole ritardo, le città e il Governo stanno provando ad arginare gli effetti di uno sviluppo impazzito, cercando di arginare i flussi incontrollato e i loro effetti, ma si ha la sensazione di fermare l’acqua con le mani. Nessuno ha il coraggio di azioni che non possono essere che violentemente dirigiste per colpire le scelte individuali di massimizzare la rendita immobiliare attraverso gli affitti brevi (sottraendo immobili al mercato residenziale) o la proliferazione di dime store e sospetto che l’inserimento di queste misure nei programmi elettorali non produca un aumento dei consensi. Bisogna dunque certamente agire, aspettandosi però risultati frammentari. Diverso sarebbe se, soprattutto nei paesi, si potessero creare opportunità di creazione di valore concorrenti alla rendita turistica e fondati sulla vita vera (agricoltura e manifattura, non poli logistici per capirci), magari finanziando le attività anche con i proventi di tasse di scopo (se si vuole acquistare il casale in val d’Orcia, magari per farne un resort, si deve sostenere in qualche modo la continuazione delle attività agricole in loco) ma sono scenari tutti da costruire e con tempi lunghi e incerti (cosa che non giustifica l’inazione, i cantieri vanno aperti subito). L’attuale inerzia non è però più accettabile.

Una possibile alternativa ha preso forma durante un fine settimana in un posto meraviglioso dell’entroterra marchigiano, Loretello, poco comprensibilmente (lungi da me lamentarmene, ma è una questione interessante) escluso dai flussi turistici, come lo sono altre cittadine della zona. In una di queste, Pergola, mai sentita prima, il museo locale ospita un gruppo di quattro bronzi dorati di epoca romana (I secolo d.c.) trovati in un campo vicino e benissimo restaurati e allestiti, uno spettacolo. Pochissima gente in giro, quasi tutti stranieri, e un impasto corretto di quello che si vuole mostrare all’esterno e mettere in “vendita” e quello che è a misura di locale. Ci sarebbe stato qualche turista in più, non moltissimi, ma sicuramente qualcuno che si stava sudando l’anima nelle città d’arte avrebbe apprezzato.

Girando l’Italia tra località ad altissima concentrazione di turisti e località, anche estremamente apprezzabili, semivuote, ci si rende conto che il problema dell’overtourism potrebbe essere pragmaticamente affrontato (non dico risolto, parlo di contributo a fare ordine) anche semplicemente “diluendo” i turisti con processi osmotici. Ossia inserendo nei percorsi consolidati qualcosa che attualmente è al di fuori e/o provando a gemellare attrazioni e località. Fino alla possibilità, questa più dirigista, di gemellare luoghi e attrazioni: vuoi visitare il Colosseo? Nel biglietto è compreso un ingresso anche in una attrazione culturale minore (come appunto i bronzi di Pergola o anche qualcosa di più vicino). Non hai voglia né tempo di visitarla? Intanto ne hai conosciuto l’esistenza e hai contribuito con una piccola quota al suo finanziamento.

È un approccio nudge, la spinta gentile a orientare i comportamenti verso pratiche collettivamente virtuose, che permetterebbe di far conoscere amenities oggi al di fuori delle rotte, provando non dico a scardinare, ma almeno a forzare, un’industria sempre più basata sullo sfruttamento intensivo di quello che funziona, ma pochissimo creativa e innovativa. In questo il turismo è davvero come il petrolio, si estrae fin che c’è. Inoltre, l’abbinamento fra attrazioni diverse in luoghi diversi sarebbe una spinta alla collaborazione fra amministrazioni, al fare sistema oggi tanto decantato, quanto poco applicato.

Ci proviamo?

 

  • Passante |

    Articolo molto interessane. Lancio però una “provocazione”. E’ possibile che in realtà l’affollamento non sia il primo dei problemi? e che la massa dei turisti non sia sostanzialmente toccata dall’affollamento?
    Ho letto di numerose rilevazioni che segnalano come molti turisti rispetto a lunghe code e intasamento delle strade percepiscano poco il problema. L’affollamento è percepito come una sorta di rassicurazione sulla scelta fatta e le code sono sopportate con pazienza.
    L’approccio con “lista delle cose da vedere” prevede la concentrazione sulle cose da vedere escludendo di fatto tutto il resto.
    Se non c’è la volontà da parte delle autorità nazionali e locali per operare al meglio a favore dei residenti, con misure incisive non credo che campagne di informazione e formazione dei turisti possano aver alcun rilievo.
    Prenotazioni per accedere alle principali attrazioni con tetti giornalieri sono misure irrinunciabili. Insieme a campagne di demarketing per le località sature e promozione di località in undertourism.
    Se nei “soliti posti” alla fine l’accesso risulta comunque incontrollato con possibilità di alte concentrazioni mi appare inutile qualunque altra misura.

  • Francesco |

    Sono d’accordo con l’autore. Penso che per Roma, Milano e le altre città italiane la “diluizione” (che solo in parte avviene, per esempio in Lombardia coi laghi) sia l’unico modo di distribuire il peso del sovra-turismo estrattivo e delle sue ormai note derivate patologiche

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