Viviamo in tempi difficili, anche per chi si occupa di innovazione digitale, soprattutto di innovazione inclusiva. L’innovazione digitale era stata concepita dalla maggioranza di noi come strumento di liberazione di risorse creative e di talenti, di sviluppo economico e sociale e di rafforzamento degli spazi di autonomia dei cittadini, delle imprese e delle comunità. Era il progresso che si portava dietro tutti gli altri, un reset delle ineliminabili storture, ingiustizie e limitazioni del mondo fisico e la possibilità di un nuovo inizio, che sarebbe potuto essere più inclusivo e democratico a patto di volersi aprire alle magnifiche sorti e progressive della tecnologia, amica e non matrigna.
Questa utopia ha subito nel tempo progressivi colpi, anche molto duri, dalla fine dell’open source e della produzione digitale dal basso agli scandali sulla privacy, fino all’imbarbarimento programmato dei social network e all’indecente gioco sui pericoli dell’intelligenza artificiale per la razza umana. Tuttavia, la sua essenza e il suo fascino evocativo avevano resistito, finora.
Quello che sta accadendo con l’inizio della seconda Presidenza Trump segna invece uno spartiacque forse irreversibile fra un prima e un dopo del mondo digitale: oggi guardiamo attoniti all’ascesa senza vincoli di una tecnocrazia di estrema destra, con pulsioni anarco-capitaliste, mezzi economici infiniti e assoluto spregio di regole democratiche e meccanismi di funzionamento di una comunità, figurarsi della nazione più potente e complessa del mondo. Forse anche peggio di questo è stato il progressivo accodarsi al programma reazionario trumpiano delle principali figure della Silicon Valley, che hanno abbandonato con nonchalance un intero programma culturale basato su inclusione, multiculturalismo e una sin troppo radicale e robotica attenzione a non urtare nessuna sensibilità. Tutto svanito, dans l’espace d’un matin.
Si può speculare se questa conversione sia frutto di convinzioni precedenti poco salde, o se tecnologie esponenziali e assai capital intensive, come l’intelligenza artificiale, abbiano finito per appiattire le differenze fra i vecchi padroni del vapore e i nuovi padroni degli algoritmi, ugualmente determinati a pagare meno tasse e ad obbedire a meno regole possibili. Un sentimento anarcoide che si innesta su mai sopite pulsioni tecnocratiche e aliene alla democrazia: nella Silicon Valley alberga da tempo, forse da sempre, una componente potenzialmente totalitaria, che oggi ha trovato sponda politica. Anche dando vita ad alleanze contro natura, la Destra ha del resto da sempre il vantaggio di non credere al principio di non contraddizione, tra un produttore di auto elettriche, confesso consumatore di stupefacenti e padre di numerosi figli concepiti contrariamente alle leggi di Abramo e la galassia MAGA, fatta di suprematisti bianchi, negazionisti climatici e fondamentalisti religiosi, che non c’entrano nulla con il digitale, Marte e il transumanesimo.
Raggiunta una capitalizzazione di borsa superiore ai PIL di Germania, Italia e Spagna, i padroni del vapore digitale si sono immediatamente e volentieri accodati all’agenda bellicosa, isolazionista e razzista di Trump, che prevede il riposizionamento degli Stati Uniti come bullo globale fuori, e lo smantellamento dello stato dentro. Non sono ovviamente solo problemi loro, perché il trumpismo prevede il conflitto permanente, che non riconosce nemmeno in Occidente amici che non siano vassalli, come dimostra il balletto sui dazi quale strumento punitivo dei renitenti. Allo stesso tempo Musk, dopo aver imposto una start up per riscrivere i codici di funzionamento dello stato americano, con evidente spregio non solo delle istituzioni, ma anche dei conflitti di interesse, sta attivamente trollando le già periclitanti democrazie europee con il sostegno attivo e generoso agli estremisti di destra in ogni paese.
Ce n’è abbastanza per concludere che i Prometeo, che ci hanno donato il fuoco dei nuovi paradigmi digitali, oggi siano diventati dei mascalzoni, da cui le persone per bene e amanti della libertà farebbero assai bene a guardarsi. Per la prima volta, l’idea concreta che la tecnologia e i suoi padroni possano rappresentare una minaccia alla nostra società non è più il lamento di isolate cassandre, ma una questione che non può non colpire chiunque rifletta sulla libertà, personale e collettiva, come ha fatto anche il nostro Presidente della Repubblica.
Per chi ha guardato a quello che veniva dall’Ovest americano come un dono del fuoco per riscaldare e ridisegnare le nostre società analogiche, ora si pone un enorme “che fare?”.
Non si tratta solo di non comprare più Tesla o Starlink, come è giusto, ma di ridiscutere l’accesso a tecnologie che non sono più neutrali, anche quando vengono dai nostri alleati storici, perché non è mai stata più vicina ed evidente la possibilità che qualunque risorsa, qualunque dato, qualunque euro siano utilizzati per consolidare i disegni di “neo-feudatari del Terzo millennio – novelli corsari a cui attribuire patenti – che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, per gestire parti dei beni comuni rappresentati dal cyberspazio nonché dallo spazio extra-atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche”, come ha scolpito Mattarella a Marsiglia.
Bisogna andare oltre, diventando consumatori consapevoli di tecnologia e mettendo la tecnologia al centro dell’agenda politica, al fianco di temi come l’ambiente, le migrazioni, la demografia, le tasse, anche misurando la classe politica su questo tema come si fa sugli altri (dove e quando lo si fa, ovviamente). Bisogna, so che è una scocciatura, essere più intransigenti, molto più intransigenti, sulle questioni della privacy e della trasparenza dei dati, che sono il valore al quale i neo-feudatari puntano più sfacciatamente. Bisogna guardare con maggiore attenzione allo sviluppo di tecnologie europee, a partire dai modelli linguistici e in generale dall’intelligenza artificiale, perché non possiamo delegare più nulla a chi punta ad assoggettarci e sostiene programmi di perversione e svuotamento della democrazia. Bisogna essere molto critici con chi propugna l’importazione di questi modelli feudali, ripetendo a papera “America innovates, China imitates, and Europe regulates”: col senno di poi, menomale che è, anche, così e l’Europa dovrà avere il coraggio di mantenersi sempre più presidio di civiltà, democrazia e qualità della vita per tanti mentre fuori è il buio, respingendo i MEGA e i suoi cavalli di Troia.
Credere nell’innovazione digitale e provare a realizzarla come strumento di allargamento della libertà, non il suo contrario, è oggi un lavoro più arduo e solitario, oltre che inevitabilmente politico, ma ancor più necessario. Good night and good luck a chi continua a crederci.