Sarà colpa, o merito, dell’algoritmo di Google, ma da quando ho iniziato a leggere della crisi demografica del nostro Paese la mia info-dieta si è riempita di articoli di stampa che riportano dati sempre nuovi, e sempre più allarmanti.
Quotidianamente ormai, testate locali e nazionali parlano con attenzione inedita delle conseguenze dirette e indirette delle mutazioni nella composizione della popolazione italiana, mentre temi caldi, e profondamente divisivi, come la crescente spaccatura culturale tra giovani e anziani possono essere letti principalmente come conseguenza di mutazioni demografiche, che non si sono originate oggi, ma che dal post pandemia sembrano essere assurte a emergenza nazionale. Una delle, si dirà, ma certamente una delle più gravide di conseguenze per la società e l’economia, oltre che una delle più solidamente fondate su dati, prove degli errori compiuti ed evidenza di buone pratiche e di un’agenda per porvi rimedio, lavorando alacremente da subito per invertire una rotta pericolosa.
Di questo e di molto altro parla “Domani è oggi: costruire il futuro con le lenti della demografia” (Egea) di Francesco Billari, un demografo con solide esperienze internazionali di ricerca e insegnamento e oggi cervello di rientro come Professore di Demografia e Rettore dell’Università Bocconi (e, particolare che me lo rende vieppiù simpatico, figlio di artigiani, spesso citati nel libro). Il libro di Billari è agile, molto ben scritto e si candida autorevolmente a lettura necessaria per chi voglia comprendere la questione demografica, italiana e non solo, al di là dei guaiti mediatici. Due elementi del libro costituiscono i suoi principali punti di forza, oltre alla competenza dello studioso e alla passione del divulgatore: un balsamico ottimismo della volontà circa la possibilità di porre rimedio a fenomeni di invecchiamento e diminuzione della popolazione italiana che appaiono avanzare inquietanti e rapidissimi e l’indicazione di un’agenda estremamente chiara e solida di politiche e di esempi da seguire.
Perché, è la tesi centrale del libro, la demografia non è destino, non è ineluttabile né tantomeno immutabile, se ci si pone attenzione e si mettono in campo politiche e scelte, non tutte popolari, ma tutte coraggiose, per invertire i trend, cosa che in Italia ci si è generalmente ben guardati dal fare. Dopo l’attenzione strumentale del Fascismo, bisognoso di “carne da cannone” (per Mussolini “Bisogna essere forti prima di tutto nel numero, poiché se le culle sono vuote la nazione invecchia e decade”) la questione demografica è stata consegnata al laissez faire, pudico eufemismo che nasconde un vuoto di politiche e di interesse. Gli italiani nascevano, si spostavano, emigravano, diventavano sempre un po’ più vecchi e tutto ciò si dava essenzialmente per scontato.
Oggi non lo è più, e i dati che Billari sciorina nel libro devono inquietare: se tutto il mondo tendenzialmente fa meno figli e soprattutto invecchia, l’Italia invecchia di più. Siamo il terzo paese al mondo per incidenza di over 65 (24%), dopo il Principato di Monaco (36%) e il Giappone (30%). Similmente, svettiamo nella classifica dei Paesi con il più basso numero di figli per coppia (1,24), con la Sardegna ormai sotto l’unità. È un problema enorme, perché la demografia informa con i suoi tempi lenti (molto interessante è la metafora delle lancette dell’orologio, ma non voglio sottrarvi il piacere di scoprirla) gli accadimenti economici e sociali di una nazione. Il futuro di gran parte della Provincia italiana, oggi in crisi ma un tempo motore culturale e produttivo (e culla del Made in Italy), il futuro delle nostre imprese, bloccate nella crescita dalla mancanza di lavoratori, il futuro del nostro welfare poggiano sulle spalle della popolazione italiana, oggi fragili per dimensioni, prospettive e qualità.
I casi di Francia, Svezia e Germania, paesi che hanno affrontato e risolto passate emergenze demografiche, chiariscono in modo palmare che si può invertire la rotta, ma non è semplice e non è gratis. Billari spiega come ha funzionato altrove e da dove partire, tanto per aumentare lo stock di popolazione accelerando i tempi lunghi dei cambiamenti organici, quanto per accrescere la qualità del capitale umano disponibile, oggi non solo scarso nei numeri, ma dilapidato dalle non politiche su istruzione e lavoro. L’agenda è straordinariamente ambiziosa e progressista e invoca passi decisi nella modernizzazione e nell’apertura del Paese: le leve principali sono l’immigrazione come risorsa e l’investimento in istruzione e autonomia dei ragazzi e delle ragazze, perché siano lavoratori e cittadini migliori, e dunque molto più probabilmente genitori più prolifici.
Il buzz evidente sulla demografia significa che abbiamo, come discorso pubblico e agenda politica, messo queste o altri azioni al centro? Qui dissento rispettosamente dall’ottimismo del Professor Billari: fatico a vedere, oltre alla cortina fumogena di parole e all’emergency framing retorico di cui ormai vive la politica (non solo da noi, ma forse da noi più che altrove), quel consenso generalizzato di cui egli scrive, anche solo sulla gravità del problema.
Non si tratta solo della, assai discutibile, nonchalance con cui il Governo in carica ha pensato di fare cassa raddoppiando l’iva sui pannolini per gli infanti senza mai negare a parole l’attenzione per le famiglie, né della manifesta avversione dello stesso per qualsiasi forma di immigrazione, vista solo come minaccia ad un’integrità sociale e culturale da tempo perduta (se mai è esistita ed ha rappresentato un valore). Oltre questi dati, in qualche modo contingenti, ce ne sono alcuni più profondi e in qualche modo bipartisan e metapolitici che preoccupano e in qualche modo ci riportano alla demografia come piattaforma per le evoluzioni (o involuzioni) dell’Italia: invertire il senso dell’orologio demografico richiede un’opinione pubblica e un sistema politico con energie e proiezione al futuro. Sono due beni ormai scarsissimi in un paese che invece a maggioranza pensa, e vota, per l’appunto da popolo anziano, sfiatato, ripiegato sulla rendita, poco interessato ad investire nel futuro perché fondamentalmente convinto che il futuro migliore sia dietro le spalle.
In questo contesto, ho letto il libro di Francesco Billari anche come una forte, ottimista e autorevole chiamata all’azione di quelle energie e intelligenze, che fortunatamente non mancano nella società, nell’accademia, nell’impresa e persino nella politica, a fare la loro parte per riportare nelle scelte dell’oggi la coscienza e la responsabilità di che Paese avremo domani. È il nostro futuro e ci riguarda tutti.