Milano 2026: Vent’anni dopo la Territorial Review dell’OCSE
Le discussioni sul presente e sul futuro di Milano, che hanno conosciuto un’accelerazione in seguito alle vicende giudiziarie che hanno colpito il Comune e alcuni esponenti di primo piano del mondo immobiliare hanno, seppur finora con l’approssimazione della reazione politica attraverso la stampa, riproposto il tema delle dimensioni di Milano come limite e parziale causa dei suoi problemi di sostenibilità economica. Il territorio del comune di Milano, si è detto più volte, è molto più contenuto di quello delle città globali che ‘competono’ per le medesime risorse e funzioni, con l’aggravante di una densità bassa e soprattutto di una scarsa integrazione tra quello che si muove dentro l’Area B e l’esterno vicino, la regione metropolitana.
Ciò alimenta criticità da città dinamica – crescente pressione dei costi immobiliari, espulsione dei ceti medio-bassi, difficoltà di movimento – che è però assai difficile risolvere con i poteri, gli strumenti e le risorse di un comune: serve integrazione e governance da regione metropolitana appunto per risolvere problemi e cogliere opportunità da regione metropolitana, oggi occultate sotto l’ingombrante velo di Milano città pigliatutto.
A tale proposito, nel 2026 cadrà un anniversario dimenticato ma significativo per chi si occupa di città, sviluppo territoriale e politiche pubbliche: i vent’anni della OECD Territorial Review dedicata all’area metropolitana di Milano (qui la versione integrale, qui la sintesi in italiano). Uscita ufficialmente nel 2006, ma avviata nel 2005 su iniziativa della Provincia di Milano con la presidenza di Filippo Penati, la Review fu uno degli esercizi più efficaci di lettura territoriale in un ciclo storico in cui si consolidavano globalizzazione e devoluzione.
Una Milano in cerca di identità sistemica
La Review, presentata a novembre del 2006 in un grande evento alla presenza del presidente del Consiglio Romano Prodi e di una folta delegazione di ministri, a sottolineare l’interesse da parte del governo centrale per nuove forme di organizzazione dello Stato – che prenderà anni dopo con un governo dello stesso colore la forma della legge Delrio che istituirà le città metropolitane – rilanciava il dibattito sulla governance metropolitana. In quel contesto, Milano veniva analizzata con strumenti allora innovativi: da una parte, le lenti della New Economic Geography di Krugman e Venables, con la loro enfasi sulle economie di agglomerazione; dall’altra, la tradizione italiana dei sistemi locali del lavoro, interpretati da studiosi come Becattini e Sforzi.
Ne emergeva l’immagine di una capitale dei servizi avanzati, già motore economico del Nord Italia, ma senza piena consapevolezza del proprio ruolo sistemico. La Milano del 2005–2006 era già una metropoli estesa, fortemente integrata nei network europei (dal Corridoio 5 alla “Blue Banana”), ma anche una città segnata da criticità evidenti, che richiamano da vicino i temi del dibattito attuale: una vivibilità in declino, una mobilità congestionata, una governance frammentata.
Le raccomandazioni della Review
Il documento OCSE, prodotto di tre missioni che avevano messo a confronto un panel internazionale di esperti e analisti con tutti gli stakeholder fondamentali del sistema milanese, avanzava raccomandazioni precise, alcune delle quali ancora oggi risultano attuali:
1. Accelerare il processo di innovazione: Milano possedeva – e possiede tuttora – una capacità innovativa sottoutilizzata, frenata da un tessuto di PMI poco interconnesso con università e centri di ricerca, da bassi investimenti in R&S e da un sistema di brevettazione debole.
2. Costruire una governance metropolitana: la frammentazione amministrativa ostacolava, e tuttora ostacola, politiche efficaci su mobilità, casa, ambiente e innovazione. La Review auspicava la creazione di un’autorità metropolitana dotata di funzioni reali, in particolare per il trasporto pubblico.
3. Rilanciare l’attrattività internazionale: serviva un grande evento che ridefinisse l’immagine globale di Milano, come stava accadendo in quel periodo con le Olimpiadi invernali a Torino. Anche da qui nacque – almeno come percezione del potenziale – l’idea dell’Expo 2015, concretizzata quasi dieci anni dopo.
4. Valorizzare i settori di eccellenza visibile: moda e design venivano letti non solo come marchi simbolici ma come veri e propri asset di sistema da connettere con il mondo produttivo diffuso e con le reti globali.
5. Sostenere la trasformazione del tessuto urbano: servivano politiche abitative e di mobilità per contrastare l’espulsione dei lavoratori dalla città, l’eccessiva dipendenza dal traffico privato, l’inquinamento e la perdita di vivacità culturale. Fa sinceramente impressione leggere i passaggi della review dedicati a questi temi e ritrovarli pressoché intatti nella loro validità.
Cosa resta oggi di quella Review?
Con il senno di poi, la OECD Territorial Review di Milano è stata una delle analisi più lucide, lungimiranti e potenzialmente trasformative realizzate sul territorio milanese, con il valore aggiunto di uno sguardo indipendente e di respiro realmente internazionale. Non solo ha ispirato – indirettamente – l’Expo 2015, ma ha anche anticipato questioni ancora oggi sono al centro delle agende urbane: l’attrazione dei talenti e il capitale umano come dotazione territoriale, la sostenibilità, la rigenerazione, le politiche intercomunali, le reti produttive-territoriali. Di più, ha indicato le dimensioni e gli strumenti, nuovi e diversi, per una gestione ottimale di questi temi.
Tuttavia, e purtroppo, molte delle raccomandazioni più strutturali sono rimaste inattuate. La legge istitutiva delle Città Metropolitane è arrivata solo anni dopo e con poteri ancora limitati. La collaborazione tra enti locali resta fragile e conflittuale, ancora troppo legata a questioni di campanile e di segno politico delle amministrazioni, provincialismi contrapposti che risultano sempre più distanti dal livello delle sfide, nel frattempo cresciuto.
Soprattutto, la politica ha troppo presto dimenticato quel lavoro e le sue raccomandazioni. Sarebbe forse malevolo pensare che il centro-sinistra, che all’epoca della Territorial Review governava la “ciambella” attorno a Milano e non il “buco” del Comune principale, abbia mutato priorità nel momento in cui si è insediato a Palazzo Marino, peraltro perdendo consensi proprio nei comuni della ciambella, passati dopo decenni al centro-destra, che nel frattempo ha continuato a governare la Regione Lombardia senza particolari simpatie verso la crescita dell’integrazione dell’area metropolitana milanese.
Prive dell’autonomia dei corpi politici eletti dai cittadini, le province e le città metropolitane sono pressoché scomparse dal periscopio istituzionale e soprattutto dal dibattito politico: la loro visibilità e funzione è demandata alla volontà e all’interesse dei presidenti, Sindaci. Nel caso di Milano, duole dirlo, la presidenza dei Sindaci del capoluogo, con assoluta continuità tra Pisapia e Sala, ha oltremodo marginalizzato la dimensione metropolitana: un peccato di provincialismo che oggi Milano paga proprio con l’erompere nel dibattito pubblico di quei problemi gestibili solo con la visione di area vasta che la Review aveva suggerito.
Una lezione per il futuro
A vent’anni di distanza, la Review ci lascia una doppia lezione. La prima è che la forza di un territorio non dipende solo dalla somma delle sue eccellenze, ma dalla capacità di vedere e fare sistema, un’operazione culturale prima ancora che istituzionale, che dopo essere stata a lungo invocata deve trovare ora concreta attuazione. La seconda lezione è che i grandi cambiamenti iniziano spesso da analisi rigorose, visionarie, indipendenti e di respiro internazionale, capaci di indicare una traiettoria anche quando il contesto sembra resistente.
A distanza di 20 anni da quell’esperienza, Milano è nuovamente in cerca di un’uscita in avanti rispetto a una narrazione di successo che sembra essersi inceppata: il problema non è tanto riferito all’oggi, ma al futuro. Una città meno accogliente per un capitale umano diverso oggi (o non in grado di trattenerlo) sarà domani una città più povera e meno competitiva. Ripensare al proprio ruolo, ché le città sono organismi in costante movimento, in quest’epoca significa rilanciare su capacità di innovazione, creatività, diversità e sostenibilità, tornando ad essere una città più accogliente per ogni ceto sociale, in cui è più semplice muoversi e si è più liberi di innovare e fare impresa.
La pressione sulla Manhattan del territorio del Comune, ha detto bene l’europarlamentare ed ex Sindaco di Bergamo Giorgio Gori in una recente intervista in cui rilancia il valore dell’area metropolitana milanese, determina meccanismi distorsivi che tolgono biodiversità al territorio, impoverendolo. Tornare a guardare Milano dall’alto, allargandone i confini, permetterebbe invece di liberare spazi per vivere e lavorare in modo sostenibile, che dovrebbero però essere collegati tra loro in modo adeguato, cosa che oggi è lontana dall’essere.
Rispetto alla straordinaria validità della Review a distanza di due decenni, oggi ritengo sarebbe opportuno guardare alla regione metropolitana milanese come fulcro di un’area funzionale ancora più larga, che va da Torino a Verona e dialoga con Genova, Bologna e Venezia. Non è troppo, come dimostra la sfortunata esperienza della factory Intel, che forse un territorio più integrato e competitivo avrebbe portato a casa.
Ma, andando per gradi, bisogna prima scegliere se lasciarsi alle spalle quella visione – Milano come area metropolitana vasta e integrata – o se rilanciarla, questa volta con strumenti e volontà adeguati all’epoca che viviamo. Se, come auspico, si decide di riaprire quel rapporto e dargli corpo, prima delle istituzioni, comprensibilmente recalcitranti all’innovazione, bisogna integrare visioni e funzioni.
Dunque, i sindaci devono parlarsi e parlare ai cittadini di cosa succede al di là del proprio comune abbandonando logiche da Palio di Siena, i trasporti non devono punire chi vive fuori dalle tangenziali, la cultura e la formazione devono diventare meno Milano-centriche. Se la Review raccomandava un grande evento internazionale come attrattore, e Expo ha risposto perfettamente all’esigenza (siamo meno certi lo farà un evento tirato e stanco come le Olimpiadi Invernali), oggi bisognerebbe pensare a uno o più progetti di respiro internazionale e non evenemenziale, che rilancino la vocazione creativa e produttiva di Milano, oggi adombrata dallo strapotere della finanza e dei servizi. Di nuovo, dovrebbero essere pensati allargando lo zoom oltre i confini comunali.
Nel frattempo, sarebbe bello che, al riparo dalle contingenze di cronaca e dalle partigianerie, un pezzo importante di riflessione di Milano su se stessa fosse adeguatamente celebrato e soprattutto riconsiderato. È un’agenda politica, di cui abbiamo bisogno, ancora aperta e utile.
Ringrazio l’amico Raffaele Trapasso, membro del team OCSE che curò la Territorial Review, per il contributo, come sempre fondamentale.